Processo Pesci: pene ridotte in appello, ma la sentenza rimane storica

BRESCIA, 29 mar. - Da 119 anni complessivi di reclusione del primo grado di giudizio a 89: pene ridotte, giovedì 28 marzo, in appello agli imputati del Processo Pesci sulle infiltrazioni 'ndranghetiste nel mantovano.

In particolare, Nicolino Grande Aracri, ritenuto dall'accusa il boss della 'ndrina molto potente nel nord, e anche il suo referente per il territorio mantovano, il muratore Antonio Rocca, si sono visti ridurre la pena di reclusione da 28 a 26 anni e da 20 anni e 8 mei a 17 anni e 8 mesi.

Assolto Alfonso Bonaccio, che nel giudiio di primo grado era stato condannato a 10 anni, mentre alla moglie di Antonio Rocca, Deanna Bignardi, la pena è stata aumentata da 4 anni a 5 anni e 4 mesi.

Secondo l'accusa il gruppo "ha costituito - è scritto negli atti processuali -, e contribuito a radicare, sviluppare ed efficacemente agevolare, nel territorio delle province di Mantova e Cremona, un'associazione per delinquere di stampo mafioso, che, rimanendo attiva quantomeno fino al novembre 2015, ha progressivamente operato grazie alla capacità intimidatoria propria del sodalizio al fine di imporre il perseguimento dei suoi fini, consistenti da un lato nell'assumere e mantenere il controllo di interi settori dell'imprenditoria locale, con specifico riferimento al comparto dell'edilizia e dall'altro ad esercitare una sempre più pervasiva penetrazione nelle istituzioni locali mirando ad assumerne il controllo".

Secondo il Procuratore reggente di Brescia, Carlo Nocerino, si tratta di "una sentenza storica perché sono stati condannati esponenti di spicco della 'Ndrangheta in Lombardia".