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Sabato, 26 Aprile 2:59:am

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Memoria: gli alberi immobili di Natzweiler-Struthof

Francia Natzwiller CampoDiConcentramento2Riproponiamo in occasione del Giorno della Memoria un reportage realizzato nel 2009 da Emanuele Salvato.

Si tratta della visita al campo di sterminio di Natzweiler-Struthof, in Francia. Il campo tristemente noto per aver avuto fra i suoi prigionieri lo scrittore triestino Boris Pahor. Il racconto fa parte del libro "Viaggio nella Memoria - 2006-2010: visite d'istruzione nei campi di sterminio di Ravensbruck, Auschwitz, Mauthausen, Terezin, Natzweiler-Struthof" pubblicato dall'assessorato alle politiche sociali della Provincia di Mantova.

Ci sembra un modo concreto e non retorico per sottolineare quanto sia importante la Memoria e quanto sia fondamentale non dimenticare quali atrocità abbia potuto commettere l'essere umano in nome di un ideale distorto, malato, folle. Sbagliato.

Abbiamo scelto di proporre il reportage nella categoria degli editoriali perché se è vero che per un giornalista è importante seprare i fatti dalle opinioni, crediamo ci siano anche fatti che non lasciano spazio a opinioni, perché quello è stato. Senza se e senza ma.

Gli alberi sono ancora lì, immobili, impassibili. Sono gli stessi alberi che Boris Pahor - scrittore italiano di madrelingua slovena, che nel libro Necropoli ha raccontato il suo periodo di internamento nel campo di sterminio di Natzweiler-Struthof, a 40 chilometri da Strasburgo - ha imparato ad odiare nei «giorni del nulla», come li definisce lui. Quei giorni, lunghi e interminabili, che lo videro soffrire le pene dell'inferno nel campo di concentramento nazista di Natzweiler-Struthof. «Provavo ostilità verso quegli alberi - scrive Pahor nel suo libro candidato al Premio Nobel - perché dalla loro ombra sarebbero dovute balzare fuori le schiere dei tanto attesi combattenti che avrebbero impedito il sacrificio di quelle ragazza alsaziane, che si consumava invece nel silenzio. Così io allora proiettavo sul bosco tutta la mia impotenza; ed eccolo qui, ora, muto e rigido davanti a me, come quella maledizione gli fosse cresciuta dentro finendo per confondersi con la sua più intima realtà». E quel bosco è ancora lì, a più di 60 anni di distanza dai giorni dell'orrore, a fare ombra sui terribili avvenimenti che si sono consumati all'interno di quelle baracche. Adesso ne sono rimaste quattro, il campo è diventato un museo alla memoria e prima dell'ingresso è anche stato allestito un doveroso e completo "Centro Europeo del deportato resistente". Una sorta di percorso multimediale introduttivo all'orrore del campo, utile per i molti studenti che ogni anno visitano Natzweilerr-Struthof. «Oltre 200mila - ci dice il responsabile delle visite Gérard Epp - e provengono da tutta Europa». Studenti come quelli dell'Itas Mantegna di Mantova (Classi IV e V B) che lo scorso 30 aprile - grazie all'interessamento e al sostegno di Fausto Banzi, assessore alle politiche Sociali e giovanili della Provincia di Mantova, che da cinque anni è vicino a questi viaggi della memoria - hanno effettuato il loro viaggio d'istruzione proprio nel campo che sorge in mezzo ai monti Vosgi, l'unico campo di concentramento nazista in terra francese. Nel Centro è possibile approfondire la conoscenza su Natzweiler - anche se all'interno del lager lo si può fare in modo più dettagliato - e su altri 13 campi di sterminio (i principali); ma soprattutto è possibile conoscere, al piano di sotto, in che modo sono nati movimenti dittatoriali come il Fascismo e il Nazismo attraverso fotografie, documenti, video, testimonianze. Nel percorso sono presenti anche frasi pronunciate da intellettuali ed ex internati del campo, come Boris Pahor appunto, un cui pensiero campeggia all'ingresso di una sala: «Ho consegnato ai vivi - sta scritto su un cubo metallico - il messaggio di coloro che sono diventati ossa umiliate davanti ai miei occhi».

Francia Natzwiller CampoDiConcentramento3IL CAMPO DI STERMINIO. I ragazzi del Mantegna sono stati preparati alla visita dagli insegnanti, che, prima di partire, hanno fatto loro leggere il libro Necropoli di Pahor, generosamente regalato dall'assessorato di Fausto Banzi. Ma leggere e vedere non è la stessa cosa, anche se leggere può aiutare a vedere meglio. Così la visita al campo riserva momenti inaspettati di angoscia e stupore ai ragazzi. Molti dei quali non riescono a capacitarsi di quanto in là abbia potuto spingersi la crudeltà umana. Del campo, come si diceva, ora rimangono solo quattro baracche, l'ingresso, la recinzione con il filo spinato, qualche torretta di guardia e un memoriale alle vittime. Molto è stato ricostruito e alcuni studenti questo l'hanno notato, rimanendoci anche un po' male. Ma fermare il tempo non è possibile, per cui, se si vogliono conservare questi luoghi della memoria, alcuni lavori postumi sono necessari. Il campo si sviluppa su una sorta di pendio che vede l'ingresso nella parte alta. Nelle prime due baracche è stato allestito un museo del lager, con foto, documenti, oggetti utili a ricostruire la storia del luogo dell'orrore. Ovviamente fra le varie testimonianze ce ne sono alcune dello scrittore triestino Pahor, internato del campo, che «viene regolarmente in visita», sostiene sempre il responsabile Gérard Epp. Ci sono disegni che testimoniano l'angoscia dei prigionieri, non mancano oggetti del tempo. Interessante è la ricostruzione storica dei comandanti che si sono succeduti alla guida del campo di sterminio, con tanto di foto, documenti d'identità e stato di servizio. Tra questi Fritz Hartjenstein - il comandante del campo che morì in prigione prima che fosse emessa la sentenza -, Kurt Geigling e Magnus Wochner, che vennero condannati a 10 anni di prigione, Josef Muth a 15 anni, mentre Franz Berg e Peter Straub vennero impiccati l'11 ottobre 1946. Una volta fuori dalle baracche-museo la discesa (faticosissima percorsa al contrario) fiancheggia terrazzamenti che indicano come in origine ci fossero ben più ricoveri (almeno 16) di quelli rimasti. In fondo altri due casotti in marmo, che rendono meglio l'idea di cosa accadesse nel campo. In una, trova silenziosamente spazio il forno crematorio, ancora intatto a ricordare quello che è stato e quello a cui è servito: sterminare, eliminare, ridurre uomini in cenere. Quello stesso forno riguardo al quale Pahor, sempre in Necropoli, scrive: «Devo riconoscere che preferisco fermarmi davanti al forno piuttosto che di fronte al tavolo con le piastrelle ingiallite (quello utilizzato per gli esperimenti e i sezionamenti dei cadaveri, ancora intatto nella baracca a lato, ndr), sul quale mi pare ancora di vedere un paio di guanti di gomma pronti per essere nuovamente infilati da una mano istruita. Il forno sarà rozzo, ma almeno è pulito, e i fuochista che lo faceva funzionare in fondo non era altro che un becchino». E ancora ricorda lo scrittore triestino - che Necropoli l'ha realizzato dopo la sua seconda visita al campo e il libro è costruito seguendo, in silenzio, una gita organizzata e ripensando agli orrori vissuti 60 anni prima - a proposito del forno: «Le prime volte neppure io ero conscio di quale materiale fosse usato dal fuochista per scaldare l'acqua (materiale umano, visto che l'acqua era riscaldata proprio dal forno, ndr); eppure sento che, anche se l'avessi saputo, nulla sarebbe cambiato nel mio stato d'animo. Quest'insensibilità mi contraddistingue nella folla dei gitanti domenicali».

CAVIE UMANE. Nella baracca accanto si trovano lo studio medico, il tavolo per gli esperimenti (come detto) e le stanze per la degenza delle cavie umane. Fa venire i brividi pensare cosa succedesse all'interno di quella stanzetta rassicurante, con la con la carta da parati ancora visibile. Il campo di Natzweiler - che tra il '41 e il '44 ospitò circa 50mila deportati e ne vide morire oltre 20mila - fu sede di raccapriccianti esperimenti medici messi in atto dal dottor August Hirt. In particolare quest'ultimo condusse "studi" sugli effetti dell'iprite (gas vescicante usato nella seconda guerra mondiale) utilizzando prigionieri (ebrei, ma non solo) del campo di Natzweiler come cavie. L'8 ottobre 1942 Hirt si presentò a Natzweiler per iniziare la selezione delle sue vittime. Queste erano state scelte da Kramer che nel frattempo, era stato nominato comandante del campo. Dei sessanta detenuti messi a sua disposizione Hirt selezionò i più forti. Gli esperimenti veri e propri iniziarono il 23 ottobre. Ai prigionieri veniva versata sul braccio una soluzione in gocce di iprite. Il risultato - prevedibile - fu il verificarsi di profonde ustioni. Il 24 ottobre le ustioni erano ulteriormente peggiorate e Hirt ordinò che le ferite fossero fotografate. Ovviamente alle cavie umane non venne data alcuna cura: occorreva documentare il decorso delle ustioni. Sei giorni dopo un primo detenuto morì e Hirt lo sottopose a dissezione per verificare i danni interni. L'orrore durò due mesi: otto prigionieri morirono. I sopravvissuti trasferiti ad altro campo non sopravvissero alla fine della guerra. Dopo questa prima fase Hirt decise di inaugurare un secondo stadio sperimentale su 120 detenuti suddivisi in quattro gruppi di 30. Si trattava di polacchi e di russi sui quali Hirt, dopo aver versato iprite sugli avambracci, applicava strani intrugli. Un terzo delle cavie morì.

Francia Natzwiller CampoDiConcentramento5LA SALITA. Non resta che tornare verso l'uscita, percorrendo la ripida salita che porta all'esterno del campo. Il percorso è faticosissimo. Pensare che prigionieri malati, affamati, scalzi e infreddoliti dovessero farlo più volte al giorno è difficile. Terminata la salita possiamo uscire dal campo con il nostro carico di angosce.

Sessant'anni fa c'è chi su quella salita è caduto, spesso senza rialzarsi più. C'è chi è stato picchiato, torturato, usato come cavia, gasato e bruciato. C'è anche chi è sopravvissuto e una volta tornato a casa sta ancora chiedendosi perché proprio a lui è toccato salvarsi.

SCHEDA DEL CAMPO. Il campo di concentramento di Natzweiler-Struthof è situato nella regione dell'Alsazia, tra i monti Vosgi, a 50 chilometri da Strasburgo in una località turistica e sciistica.
Fu il solo campo di sterminio nazista costruito in terra francese. La zona fu scelta perché il colonnello nazista Blumberg, geologo, scoprì che da una montagna lì vicino era possibile estrarre granito rosa, da utilizzare per costruire monumenti celebrativi del Fuhrer e lo stadio di Norimberga. Il campo fu operativo dal 21 maggio 1941 al settembre del 1944, quando le SS evacuarono il campo, liberato poi dai soldati americani il 23 novembre dello stesso anno. In totale furono rinchiusi più di 40mila deportati provenienti dalla Polonia, dall'Unione Sovietica, dai Paesi Bassi, dalla Francia, dalla Germania e dalla Norvegia. Il campo fu essenzialmente di lavoro, ma vennero costruite anche una camera a gas e un forno crematorio. In totale vi morirono quasi 25mila persone.
Dal 14 al 21 agosto del 1943, per ordine del dottor August Hirt, 86 ebrei furono deportati da Auschwitz e vennero gasati a Natzweiler. I loro corpi furono trasportati all'università di Strasburgo e lì immersi in vasche piene di alcol, scarnificati e ridotti a scheletri che entrarono a far parte della "collezione" del dottor Hirt. Boia che nel campo condusse terribili esperimenti sugli esseri umani. A guerra ormai persa, il criminale nazista decise, di comune accordo con Himmler, di disperdere la collezione di scheletri che possedeva. Braccato dalle truppe sovietiche, si suicidò per non farsi catturare.

Emanuele Salvato


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