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Memoria, a Terezìn la grande sceneggiata nazista

RepubblicaCeca Terezìn CampoDiConcentramento1Riproponiamo in occasione del Giorno della Memoria un reportage realizzato nel 2009 da Emanuele Salvato.

Si tratta della visita al campo di sterminio di Terezin, in Repubblica Ceca. Il campo tristemente noto per aver imprigionato 15mila bambini: solo 100 di loro sono sopravvissuti. Il racconto fa parte del libro "Viaggio nella Memoria - 2006-2010: visite d'istruzione nei campi di sterminio di Ravensbruck, Auschwitz, Mauthausen, Terezin, Natzweiler-Struthof" pubblicato dall'assessorato alle politiche sociali della Provincia di Mantova.

Ci sembra un modo concreto e non retorico per sottolineare quanto sia importante la Memoria e quanto sia fondamentale non dimenticare quali atrocità abbia potuto commettere l'essere umano in nome di un ideale distorto, malato, folle. Sbagliato.

Abbiamo scelto di proporre il reportage nella categoria degli editoriali perché se è vero che per un giornalista è importante seprare i fatti dalle opinioni, crediamo ci siano anche fatti che non lasciano spazio a opinioni, perché quello è stato. Senza se e senza ma.

TEREZÌN (Repubblica Ceca) - "Siamo abituati a piantarci su lunghe file alle sette del mattino, a mezzogiorno e alle sette di sera, con la gavetta in pugno, per un po' d'acqua tiepida dal sapore di sale o di caffè o, se va bene, per qualche patata. Ci siamo abituati a dormire senza letto, a salutare ogni uniforme scendendo dal marciapiede e risalendo, poi, sul marciapiede. Ci siamo abituati agli schiaffi senza motivo, alle botte, alle impiccagioni. Ci siamo abituati a vedere la gente morire nei propri escrementi, a veder salire in alto la montagna delle casse da morto, a vedere i malati giacere nella loro sporcizia e i medici impotenti. Ci siamo abituati all'arrivo periodico di un migliaio di infelici e alla corrispondente partenza di un altro migliaio di esseri ancora più infelici...". Scriveva così Petr Fischl, 14 anni, sul suo diario ritrovato fra i resti di quello che fu il campo di concentramento nazista di Terezìn, cittadina a 65 km a nord di Praga.

Petr, deportato nel dicembre del 1943 nella città trasformata in ghetto dai seguaci di Hitler, come buona parte dei 15mila ragazzi ebrei (neonati compresi) qui imprigionati, non fece mai ritorno a casa e morì ad Auschwitz dieci mesi dopo. Parole come amore, gioia, spensieratezza, per il ragazzo ebreo non hanno mai avuto alcun senso. Per lui, e gli altri giovani prigionieri di Terezìn, solo la morte e la sofferenza hanno significato qualcosa, perché in quella città trasformata in inferno dalla lucida follia dei nazisti non c'era spazio per vivere, ma solo per soffrire e morire. Salvarsi era l'eccezione. Chissà se tutti i 48 studenti dell'Itas Mantegna e del linguistico Virgilio di Mantova, che lo scorso 23 aprile hanno visitato questi luoghi, hanno compreso appieno quale devastazione emotiva e fisica abbiano vissuto ragazzi come loro più di 60 anni fa? La domanda non è retorica: a leggere alcuni degli scritti riflessivi sulla visita, che ci siamo fatti consegnare poco dopo l'uscita dal lager, sembra che alcuni - soprattutto i ragazzi stranieri, forse più vicini per vissuto a esperienze di emarginazione e difficoltà d'integrazione - l'abbiano capito; gli altri non si sa. Almeno non è chiaro, forse per colpa nostra, che non siamo in grado di leggere nelle loro menti. Certo l'intento dell'assessore provinciale Fausto Banzi - che da quattro anni organizza questi viaggi della memoria in collaborazione con Fabio Norsa della Comunità ebraica mantovana - è quello, nobile, di fare in modo che le nuove generazioni non dimentichino mai quali atrocità (inimmaginabili tuttora per alcuni aspetti) sia stato in grado di compiere l'uomo in nome di un'idea malata, malsana, deviata, patologica.

La giornata dedicata alla memoria inizia molto presto in un albergo di Praga 2. Il ricordo di Dresda, vista il giorno prima, è ancora vivo nella mente ma viene scalzato dalla sveglia che suona alle 7. Colazione veloce e via di corsa verso il quartiere ebraico della capitale ceca. Una visita lampo, a disposizione solo la mattinata, permette di vedere il cimitero ebraico e la sinagoga Pynkas, la più antica di Praga, ora monumento ai 77.297 ebrei del protettorato di Boemia e Moravia assassinati dai nazisti. I loro nomi sono riportati, in ordine alfabetico e secondo il luogo di provenienza e nome della famiglia, sulle pareti della sinagoga. Uno spettacolo che toglie il fiato. Peccato che una minima dimensione interiore di raccoglimento, necessaria quando si entra in un mausoleo della memoria, sia difficile da trovare a causa delle moltissime persone che l'affollano petulanti. Fuori dalla Pynkas l'atmosfera non è molto diversa e anche la successiva visita al cimitero ebraico avviene nella più totale confusione, mitigata, per fortuna, dalle opportune spiegazioni di Fabio Norsa, prodigo di utili informazioni sul luogo di sepoltura. Nel tortuoso percorso fra le 20mila lapidi - spesso tempestate di sassolini del ricordo che tengono fermi biglietti colmi di desideri - meritevole di una sosta è la tomba del rabbino Low ben Bezalel, morto nel 1609 e inventore del Golem, il leggendario gigante di terra e argilla creato per proteggere la comunità ebraica. Fuori dal cimitero la strada conduce alla sinagoga Maiselova che adesso contiene una toccante mostra permanente dei disegni dei bambini rinchiusi nel ghetto di Terezìn, nostra meta del pomeriggio.

RepubblicaCeca Terezìn CampoDiConcentramento2Arriviamo a Terezìn con il sole che si nasconde fra una nuvola e l'altra. Con il pullman percorriamo le strade di quello che fu il ghetto ebraico creato dai nazisti nel 1941, ma è quasi impossibile trovare appigli visivi per avere un'idea di quello che era allora la cittadella fortificata di Theresienstadt. Ora ci sono ristoranti, bar, abitazioni; è vero c'è il Museo del ghetto e, poco più in là, è rimasto intatto anche il Krematorium, ma serve uno sforzo di memoria forse troppo grande per cercare solo di immaginare quello che fu l'inferno di Terezìn dal 24 novembre 1941. In quella data, infatti, i nazisti fecero sfollare i 7mila abitanti della cittadella per fare posto a circa 150mila ebrei, per lo più provenienti dal protettorato di Moravia e Boemia, ma anche da altre zone d'Europa. Il piano era chiaro, anche se ben camuffato: utilizzare il ghetto come stazione di transito verso i campi di sterminio, Auschwitz in primis. Nel frattempo, a eliminare moltissimi prigionieri ebrei ci pensarono la fame, le malattie che si diffusero per il sovraffollamento, e le torture dei soldati nazisti. Alla fine furono 144mila gli ebrei che transitarono per il ghetto, di questi 33.529 vi morirono, 88.196 finirono nelle camere a gas dei campi più o meno vicini, solo 17.247 si salvarono l'8 maggio del 1945, quando la città venne liberata dai russi.


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