Federico Buffa e Fabrizio Gabrielli raccontano la storia dell'Albiceleste: un omaggio all'Argentina e alla sua 'italianitĂ '
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- Gemaakt op 07 september 2024
- Gepubliceerd op 07 september 2024
MANTOVA, 07 set. - Il calcio come una danza: il genio sportivo e l'amore per il gioco che lega indissolubilmente storia e societĂ di un paese unico, l'Argentina.
Al Festivaletteratura, nella cornice di Piazza Castello, Federico Buffa e Fabrizio Gabrielli (coautori della "Milonga del fĂştbol") hanno raccontato tra aneddoti ed eventi il calcio argentino: una danza d'amore e di passione che abbraccia cento anni di storia.
Tutto inizia dal ricordo del piroscafo Mendoza, che ad inizio Novecento parte da Genova, simbolo di una fase importante dell'emigrazione italiana, per arrivare in Argentina. A bordo della nave anche la famiglia Cesarini, da Senigallia, tra cui il neonato Renato. El Tano, esempio dell'immigrazione che tra il 1870 e il 1915 lega le due nazioni e nome immortale nella storia del calcio italiano. Alla sua frequenza nel segnare gol nei minuti finali della partita si deve l'espressione "Zona Cesarini", ma anche cinque scudetti consecutivi vinti dalla Juventus negli anni Trenta.
Il racconto di Federico Buffa e Gabrielli ci accompagna come un tango che narra di un'identità argentina che porta con sé orgoglio ed angoscia. Un'Argentina che prende the beautiful game, che cade dalla tasca degli inglesi (inventori del gioco ed acerrimi rivali), per trasformarne le giocate ed inventando "l'amore per il gioco".
Buffa, tra le valige degli emigranti sempre pronte per la partenza (ricolme di miseria, sogni e paure) ed un grosso cavo di ormeggio a ricordare il Mendoza, racconta di Renato Cesarini e della sua scoperta di Omar Sivori, talento cristallino, tutto genio e sregolatezza, che nel River Plate incanta l'Argentina degli anni Cinquanta. El Cabezón, figlio di una abruzzese e di un ligure, nato nell'Argentina rurale degli anni Trenta, andrà poi alla Juventus a vincere altri tre scudetti a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta. Sivori che consolerà poi uno dei più grandi, dopo l'esclusione dal Mondiale del 1978. "Dentro di te hai la verità più profonda del fútbol", dirà ad un inconsolabile Diego Armando Maradona in un'intervista che intitolerà "Escuchame, Pibe". Sul fondo della scena compare una foto proprio con Maradona e Sivori, dove "manca solo lo Spirito Santo". Metà italiano da parte di madre, indio-guaranì da parte di padre, El Pibe de Oro diventa, a fine anni Ottanta, l'idolo di un popolo che stava uscendo dalla dittatura del generale Videla e la leggenda di un Napoli che con lui vincerà i primi due scudetti della sua storia.
Tre argentini legati tra loro che condividono anche una parte di sangue italiano e un'importante fetta della storia del calcio del nostro paese con ben dieci scudetti complessivi. Tre metodi espressivi e di comunicazione che si intersecano e si inglobano nella voce corale del racconto, sempre cadenzato dal tango e dal blues, capaci di accompagnare grandezze e miserie dello sport e della vita.
Il racconto di Buffa e Gabrielli è in sintesi un omaggio all'Argentina ed alla sua "italianità ", legate da culture e tradizioni e, soprattutto, dall' "amore per il gioco". Un gioco del calcio che si fa passione, una sorta di tango argentino ballato però su un campo d'erba.
(l.t.)
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